Il penultimo appuntamento della rassegna “Passaggi tra le Nuvole” vede protagonista una rappresentante del fumetto al femminile: Sara Colaone con la sua ultima opera “Evase dall’Harem” edito da Oblomov. A conversare con lei, nella cornice del Pincio di Fano, la critica di fumetti Virginia Tonfoni.
La rassegna si concluderà giovedì 24 giugno con Paolo Castaldi che presenterà la sua graphic novel “La buona novella” , con testi originali di Fabrizio De André.
Due sorelle in fuga
La trama di questo ultimo fumetto si basa sulla storia vera di due sorelle che nel 1906, stanche della vita di restrizione dell’Harem turco in cui sono costrette a vivere, decidono di fuggire a bordo dell’Orient Express. Da Costantinopoli volgono quindi verso l’Occidente, una terra che immaginano ricca di libertà individuale e libertà di pensiero, abbandonando la Turchia dell’Impero Ottomano. Di solito infatti nelle opere di Sara Colaone c’è sempre un fondo di verità, un quadro storico reale, come dimostra anche il fumetto su Leda Rafanelli, anarchica italiana. Il punto cruciale della storia di “Evase dall’Harem” è che le due donne protagoniste autodeterminano il proprio destino, rinunciando ad uno già assegnato.
La genesi narrativa
Sara Colaone si trovava a Parigi per presentare il suo libro su Leda Rafanelli. In questa occasione le venne detto che i suoi disegni sembravano fatti da un maschio, per l’utilizzo così deciso del pennello. “Quel genere di pregiudizio da superare sorridendo, per poi voltarsi e dare un bel calcio per abbatterli”. Eppure questo tratto così decisivo colpì due sceneggiatori, Didier Quella-Guyot e Alain Quella-Villegé, che le proposero una storia da raccontare. Ad una prima lettura, la sceneggiatura le sembrò molto diversa da quella con cui era solita lavorare, ad esempio di Luca de Santis. Decise comunque di accettare, per provare ad aprirsi ad un diverso ritmo narrativo e una strana evoluzione dei personaggi. Quando ha preparato lo storyboard, un bozzetto del libro che racconta tutta la storia per vedere se agli editori garba, ha iniziato a prendersi delle libertà. Da una sceneggiatura di una settantina di pagine sono quindi emerse più di cento pagine di fumetto, perché Sara Colaone voleva aggiungere anche delle scene più definitive e meno eclatanti.
L’intreccio tra realtà e finizione
Nel racconto entrano elementi narrativi come l’opera di Pierre Loti “Le disincantate”, pubblicata nel 1906. Lo sceneggiatore Alain Quella-Villegé è un grandissimo studioso di Pierre Loti e le ha fornito tutto il materiale per raccontare i retroscena della sua opera. C’è quindi una situazione di intertestualità: un continuo gioco di specchi tra differenti linee narrative che non sono solo invenzione, ma documenti letterari preesistenti. Lo stesso Loti fa parte della storia e per scrivere la sua opera si ispira alle due ragazze protagoniste, cambiando loro il nome. Nella storia si parla quindi di letteratura, in particolare di quella di inizi ‘900 e di Pierre Loti. Le due sorelle, figlie di un dignitario della coorte ottomana, sono state cresciute all’Occidentale. Hanno una ricca cultura fatta di conoscenza di diverse lingue e di abilità musicali. Conoscono quindi Pierre Loti, che è il loro idolo letterario. Così quando scoprono che è a Istanbul, come capitano di fregata di una nave che stazionava al porto, decidono di incontrarlo anche se la vita nell’Harem vieterebbe di vedere persone al di fuori della cerchia famigliare. Vogliono sedurre Loti in cambio di rivelazioni sulla loro vita, che gli permettano di scrivere la sua opera. Inizia quindi un viaggio rocambolesco da Istanbul a Belgrado, evitando la polizia e rischiando quindi la pena di morte. Tale storia divenne un caso internazionale, che infuocò i giornali di mezza Europa ed inevitabilmente gettò discredito sulla famiglia delle due ragazze.
L’incontro con Auguste Rodin
Nella storia vi è un momento in cui una delle due sorelle viene ritratta da Auguste Rodin, dopo essersi conosciuti ad una festa. Le due sorelle diventano infatti un giocattolo da salotto per l’intellighenzia europea. Una sorella viene invitata a posare per lo scultore e si reca da lui vestita all’Occidentale. Rodin la ritrarrà con il velo, che mostra appunto ciò che lo scultore vuole vedere. La ritrae in completa opposizione con quello che rappresentava: una donna libera e volenterosa di essere inclusa come donna senziente e capace di articolare pensieri.
Si capisce quindi che l’Europa non rappresenta una garanzia di diritto e di libertà.
La radice della libertà
La vicenda mette le due sorelle sul piedistallo mediatico, permettendo loro di diventare un esempio e di raccontare la loro versione dei fatti. Vengono infatti contattate anche da giornaliste femministe. Eppure si rendono conto di correre il rischio di diventare icone di se stesse ed essere inavvicinabili. In questo momento acquisiscono la radice profonda della libertà: la possibilità di determinarsi in qualsiasi momento e di non rispettare un’idea monolitica. Tra le due si apre anche uno scontro perché una sorella vorrebbe ritornare in Turchia per salvare la reputazione della famiglia, mentre l’altra più determinata non è disposta a tornare indietro. Proprio nella diversità di pensiero si staglia la ricchezza dell’opera. Una delle due capisce infatti di poter essere più utile dove può mettere in pratica più idee, quindi può ritornare in Turchia e comportarsi diversamente da prima, dedicandosi ad opere filantropiche. Un grande esempio di maturazione, che le porterà a ritornare nella terra natale anche per i propri affetti. All’autrice infatti non è mai piaciuta l’idea di una figura femminile emancipata, lontana da ogni affetto famigliare.
L’aspetto grafico
Nell’apprezzamento dello stile dell’opera di Sara Colaone su Leda, c’è un indizio di durezza della linea. Anche in “Evase dall’Harem” l’inizio del libro si apre con una tratto durissimo, una linea definita, che poi si attenua. L’incipit è infatti in una notte a Istanbul di un gennaio piovoso, prevale quindi un tono cupo. La fuga avviene su una carrozza, ma è piena dell’angoscia di essere fermate subito, facendo annichilire il loro progetto. Il nero iniziale, simbolo di oppressione, via via si schiarisce. Non tanto perché l’Europa sia la terra della libertà, ma perché grazie a questo viaggio si appropriano del concetto di libertà che è solo un effetto del nostro pensiero. Attraverso un’azione così eclatante comprendono il loro potere, anche nel poter cambiare prospettiva a metà dell’opera.
Donne e fumetto
Sara Colaone confessa di aver fatto di tutto per evitare questa carriera, ma come tutte le cose destinate è stato tutto inutile. All’inizio vi era una grande componente maschile. Però la narrazione è sempre stata un territorio molto aperto, quindi secondo lei non è un problema di rappresentanza, ma è che le persone non si sentono a proprio agio e hanno paura di raccontare. Una volta predisposti spazi per le autrici, è necessario pensare che quello spazio possa essere usato per raccontare storie che piacciono all’autrice e non per seguire un trend di mercato. Più spazi ci sono e meglio è, poi che siano maschi o femmine è indifferente, non è un aspetto che le crea delle perplessità. È solo un caso che nelle sue opere ci siano protagoniste femminili. Quest’opera inoltre le ha permesso di fare ciò che le riesce meglio: seminare il dubbio e creare delle domande in un sano contrasto di situazioni e idee.